Patologie dell'area
Muscoloscheletrica
Lesioni muscolari
Lombalgia
Mal di testa
Metatarsalgia
Plagiocefalia
Problemi di Deglutizione
Pubalgia
Sciatalgia
Sindrome del Tergicristallo
Sindrome dello Stretto Toracico
Sindrome di De Quervain
Sindrome del Piriforme
Sindrome di Tietze
Spina Calcaneare
Tendinopatia
Vertigini o Sindrome Vertiginosa
Whiplash (Colpo della frusta)
Il gruppo delle patologie muscoloscheletriche comprende varie malattie dell’apparato muscolare e osteoarticolare (colpiscono muscoli, ossa e articolazioni). L’apparato osteoarticolare svolge una doppia funzione: Protegge gli organi interni e, costituendo la struttura portante del nostro corpo, consente le funzioni motorie. Lo scheletro (componente passiva dell’apparato muscoloscheletrico) è costituito da ossa e articolazioni che regolano i cosiddetti movimenti relativi. I muscoli (componente attiva dell’apparato) sono invece organi contrattili che regolano il movimento vero e proprio. I muscoli sono collegati alla struttura ossea dai tendini. L’apparato muscolare e osteoarticolare è profondamente legato al naturale invecchiamento del nostro corpo. Per questo motivo e soprattutto in età avanzata è soggetto ad eventuali disfunzioni anche in assenza di altre patologie.
ACUFENI
L’Acufene, in medicina, è un disturbo uditivo costituito da rumori (come fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni ecc.) che l’orecchio percepisce come fastidiosi a tal punto da influire sulla qualità della vita del soggetto che ne è affetto. è classificabile come una malattia, ma è piuttosto una condizione che può derivare da una vasta pluralità di cause. Tra di esse si possono includere: danni neurologici, infezioni dell’orecchio, stress emotivo, presenza di corpi estranei nell’orecchio, allergie nasali che impediscono (o inducono) il drenaggio dei fluidi.
Dopo aver fatto i giusti accertamenti medici in modo da escludere patologie più serie, si passa alla visita fisiatrica e alla valutazione osteopatica visto che l’insorgenza di un acufene,infatti, pur essendo abitualmente attributo a stimoli uditivi, può essere determinato anche da stimoli non uditivi a partenza dalle regioni della testa e del collo, e in particolare dalla mandibola, con particolare riguardo all’Articolazione Temporo Mandibolare (ATM) e alla masticazione: numerosi sono infatti i riscontri della frequente associazione fra gli acufeni e i Disturbi dell’ATM (Temporo Mandibular Disorders).
Alcune caratteristiche dell’acufene possono più facilmente ipotizzare un ruolo patogenetico importante dell’ATM, e orientare di conseguenza in questo senso la terapia.
I pazienti che presentano acufeni legati all’ATM, oltre a sintomi locali che riguardano strettamente l’Articolazione (dolore, rumori di scroscio con i movimenti mandibolari, limitazione dei movimenti) possono riferire una vasta gamma di sintomi, alcuni chiaramente non legati all’orecchio, quali mal di testa, dolori facciali, dolori cervicali.
E’ frequente l’associazione fra cefalea a acufeni e la loro intensità in alcuni casi aumenta in corrispondenza delle crisi . E’ però necessario porre diagnosi differenziale fra Cefalea Primaria (Emicranica o Tensiva) e cefalea secondaria derivante dalla bocca e dalla disfunzione dell’ATM. Sono spesso, sia la cefalea tensiva che l’acufene , legati a componenti di stress psicogeno. Non va dimenticato che lo stress agisce anche sulla bocca, favorendo il serramento e il bruxismo, che porta all’insorgenza sia della cefalea che dell’acufene.
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Trattamento Consigliato
Artrosi
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Borsite trocanterica
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Cefalea
La cefalea è una tra le più frequenti patologie del sistema nervoso. I tipi più frequenti sono la cefalea di tipo tensivo, l’emicrania, la cefalea a grappolo e le cefalee croniche. In tutta Europa la cefalea continua ad essere sottostimata, spesso rimane non diagnosticata e non trattata. In termini di fondi e ricerca, malgrado la sua alta prevalenza, la cefalea è tutt’ora trascurata. La cefalea è caratterizzata non solo da dolore ma anche da una grave disabilità. In tutto il mondo, la WHO (World Health Organization) ha stabilito che l’emicrania da sola è al 19° posto tra le causa di disabilità. Il mal di testa (o cefalea, in termini medici) è una delle patologie più frequenti del genere umano ma nonostante ciò è spesso misconosciuta dal paziente, mal diagnosticata dal medico e, conseguentemente, non debitamente curata. Spesso la cefalea genera nel paziente timori di gravi malattie. La diagnosi esatta del tipo di cefalea di cui soffre un soggetto è un essenziale per poter instaurare una terapia corretta. Pochi sanno che la diagnosi è puramente clinica. In altri termini, dopo che il paziente sia stato sottoposto ad un esame medico di tipo generale e ad un esame neurologico, solo il colloquio attento ed approfondito consentirà di ricostruire le caratteristiche specifiche di un certo tipo di cefalea.
Tra le cefalee primarie distinguiamo poi:
- Emicrania
- Cefalea muscolo-tensiva
- Cefalea a grappolo
- Altre cefalee
La cefalea colpisce in modo prevalente le donne, fino a 2-3 volte di più rispetto agli uomini; per quanto riguarda le differenze di razza si rileva che in Europa è più diffusa la cefalea di tipo tensivo, rispetto per esempio ad Asia ed Africa.
Emicrania
L’emicrania è un disturbo ricorrente la cui durata cade di norma nell’intervallo fra le 4 e le 72 ore (3 giorni); è più diffuso nel sesso femminile ed in genere si manifesta nell’età giovane-adulta.
I sintomi dell’emicrania sono:
Dolore di norma pulsante su un unico lato, che peggiora con la normale attività fisica associata ai movimenti quotidiani
Fastidio indotto da suoni o luce. La diagnosi di emicrania viene fatta sulla base di 5 criteri che devono essere tutti soddisfatti: il mal di testa dura da 4 a 72 ore.
Si presenta con almeno 2 delle seguenti caratteristiche:
- Presenza su un solo lato della testa
- Dolore pulsante
- Intensità da moderata a severa
- Peggioramento con le normali attività di routine (chinarsi, fare le scale, fare piccoli sforzi, …)
- Disturbo dato da luce/rumori
- I sintomi non possono essere ricondotti ad altre malattie
- Devono essere stati vissuti almeno 5 attacchi caratterizzati dai criteri 1 e 3
Cefalea di Tipo Tensivo
La cefalea di tipo tensivo, distinta in forma episodica (< 15 giorni/mese) e cronica (>15 giorni/mese), è certamente la cefalea più diffusa. Colpisce prevalentemente il sesso femminile con una insorgenza solitamente intorno ai 30 anni. E’ caratterizzata da episodi di cefalea di durata variabile da minuti a vari giorni. Il dolore è tipicamente compressivo-costrittivo (“come una morsa, come un peso”), bilaterale (spesso con distribuzione a “fascia” o a “casco”) Sia la forma episodica che la forma cronica possono essere associate o meno a contrazione muscolare dei muscoli pericranici, evidenziabile da una aumentata dolorabilità con manovre o strumenti specifici. Numerosi fattori organici o funzionali possono condizionare la comparsa della cefalea di tipo tensivo quali fattori psicogeni, osteoarticolari, muscolari, masticatori, nonchè l’abuso di farmaci. I fattori scatenanti più frequenti sono la tensione nervosa, lo stress, l’affaticamento mentale. Pertanto gli individui maggiormente a rischio risultano essere coloro (studenti, insegnanti, addetti al computer, sarti, ecc.) costretti al mantenimento di particolari posizioni corporee e con simultaneo impegno mentale. La cefalea di tipo tensivo può associarsi frequentemente all’emicrania, configurando il quadro di emicrania con cefalea intervallare. Tale evenienza si verifica per lo più in pazienti con emicrania senza aura con lunga storia di malattia, alta frequenza di attacchi e tendenza all’abuso di analgesici.
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CERVICALGIA
Quando si parla di cervicalgia si intende un dolore al livello del collo che può irradiarsi a livello dei trapezi, alla testa e agli arti inferiori.
La cervicalgia si classifica come:
- Acuta, se è presente da meno di 6 settimane;
- Subacuta, se è presente da 6 a 12 settimane;
- Cronica, se è presente da più di 12 settimane.
- Generalmente in fase cronica il dolore è più lieve che in fase acuta.
Le cause di questo disturbo sono correlabili a tutte le entità anatomiche innervate presenti nel distretto: Muscoli, articolazioni sinoviali, dischi intervertebrali, legamenti e dura madre.
In assenza di alterazioni strutturali la cervicalgia può essere associata a deficit del controllo motorio del collo.
Si tratta della quarta causa di disabilità al mondo e limita seriamente la qualità della vita delle persone.
Colpisce prevalentemente chi ha una storia pregressa di cervicalgia; gli individui tra i 35 e i 60 anni soprattutto donne; chi ha subito l’amputazione di un arto superiore e chi soffre di stati d’ansia o stress.
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Cisti di Baker
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Crampi muscolari
Un crampo muscolare è una contrazione transitoria, improvvisa e involontaria di un muscolo o di un gruppo di muscoli che può provocare dolore e rendere temporaneamente impossibile l’utilizzo del muscolo interessato. Spesso insorge dopo un’attività fisica intensa, ma non infrequente è la manifestazione di crampi a riposo, che possono colpire anche durante il sonno per carenze alimentari.
La maggior parte delle volte alla base dei crampi muscolari c’è una delle seguenti condizioni:
- Lunghi periodi di esercizio o lavoro fisico, soprattutto durante la stagione calda;
- Disidratazione;
- Mantenimento di una posizione per un periodo troppo lungo di tempo;
- Assunzione di alcuni farmaci, come i diuretici.
I crampi muscolari possono però anche essere segno della presenza di diverse patologie, anche gravi:
- Restringimento delle arterie che forniscono sangue alle gambe (aterosclerosi periferica);
- Compressione dei nervi nella colonna vertebrale a livello lombare;
- Malattie che interessano il sistema muscolare;
- Malattie neurologiche (malattia di Charcot);
- Squilibri metabolici legati alla mancanza nell’organismo dei giusti livelli di potassio, calcio e magnesio.
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Dito a scatto
Dito a scatto o anche definito tenosinovite stenosante, interessa i tendini dei muscoli flessori della mano e delle dita. L’infiammazione coinvolge la guaina sinoviale che avvolge i tendini, provocandone ispessimento e dolore nella zona interessata, talvolta anche con la formazione di un piccolo nodulo.
La causa dell’instaurarsi di tale condizione è da ricercarsi in microtraumi ripetuti, sovraccarico funzionale, patologie infiammatorie autoimmuni come gotta, artrite reumatoide. I sintomi che ne conseguono sono dolore, blocco del movimento, impotenza funzionale.
L’obiettivo del trattamento per il dito a scatto è eliminare il dolore e l’infiammazione, eliminare il piccolo nodulo che si crea sulla guaina alla base del dito, migliorare l’articolarità e rendere funzionale l’uso della mano e delle dita.
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Disordini temporo mandibolari
Le articolazioni temporomandibolari sono le giunzioni tra le ossa temporali del cranio e l’osso mascellare inferiore (mandibola). Le articolazioni temporomandibolari sono due, una su ogni lato del viso, in prossimità delle orecchie. I legamenti, i tendini e i muscoli supportano le articolazioni e sono responsabili del movimento mascellare. I disturbi temporomandibolari sono causati da problemi dei muscoli o delle articolazioni della mascella o del tessuto fibroso che li collega. I sintomi possono essere cefalea e dolorabilità dei muscoli masticatori oppure si può udire uno scatto sonoro/uno schiocco delle articolazioni della mascella. L’articolazione temporomandibolare è tra le più complesse articolazioni del corpo: si apre e si chiude come una cerniera e scivola in avanti, indietro e lateralmente. Durante la masticazione è in grado di sopportare un’enorme pressione, a seconda della posizione e dello stato dei denti inferiori e superiori, che agiscono un po’ come un fermaporta per le articolazioni quando si chiudono. L’articolazione temporomandibolare contiene un pezzo di denso tessuto fibroso denominato disco articolare. Il disco funge da cuscinetto tra cranio e mascella inferiore, impedendo loro di sfregare l’uno contro l’altra. I disturbi temporomandibolari, un tempo denominati disturbi dell’ATM (articolazione temporomandibolare) sono più comuni nelle donne intorno ai 20 anni e tra i 40 e i 50 anni di età. Sono rari i casi di bambini nati con malformazioni dell’articolazione temporomandibolare. I disturbi temporomandibolari sono caratterizzati da problemi delle articolazioni, dei muscoli e delle fasce di tessuto fibroso che li collegano (fascia). In genere, la causa del disturbo temporomandibolare è rappresentata dall’associazione di tensione muscolare e problemi anatomici delle articolazioni. A volte sono presenti una componente psicologica nonché altri fattori. Serrare e digrignare i denti (bruxismo), disturbi sistemici (quali osteopenia, malattie autoimmuni o disturbi ossei genetici), infezioni, traumi, disallineamento dei denti e perfino la costante masticazione di gomme possono causare i sintomi.
disturbo articolazione temporo-mandibolare
I pazienti con disturbo all’articolazione temporo – mandibolare riferiscono:
dolore sull’articolazione temporo-mandibolare bilaterale o unilaterale, tipicamente innescato da movimenti della mandibola o dalla palpazione, dolori cervicali (specialmente al risveglio), ronzio auricolare (acufeni, fischi nelle orecchie), problematiche nella deglutizione, affaticamento durante la masticazione, lo sbadiglio o semplicemente nell’aprire la bocca, dolore all’articolazione, sia a riposo sia durante il suo utilizzo (per esempio mangiando o parlando), rumori causati dall’articolazione quando si apre o si chiude la bocca: click, scrosci, rumori a sabbia, limitazione e/o rigidità nell’apertura della bocca fino al blocco vero e proprio, dolore sordo al viso con tensione dei muscoli mimici e dei muscoli masticatori, mal di testa: cefalee tensive e muscolo-tensive, sensazione di rigidità al viso, tensione che parte dal collo fino al capo con difficoltà di movimento, difficoltà nella visione.
Il trattamento consiste nell’effettuare una valutazione di:
storia clinica del paziente per capire se ci sono stati traumi, interventi chirurgici o eventi che possano aver causato la disfunzione; una valutazione della postura generale del paziente in quanto il sistema stomatognatico gioca un ruolo importante nel controllo posturale; valutazione range articolari in apertura e lateralità e della mandibola; valutazione di eventuali dislocazioni del disco articolare; valutazione mobilità e presenza dolori cervicali; valutazione della deglutizione; valutazione di densificazioni o aderenze fasciali che possano bloccare i tessuti sottostanti andando a causare dolori e limitazioni articolari.
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DOLORE INTERSCAPOLARE
Generalmente, vengono colpite da questa patologia le persone che utilizzano molto le braccia nel lavoro, sport o che passano molte ore sedute in scrivania con posture errate.
Le cause che possono determinare un dolore situato tra le scapole sono certamente da individuare in prima battuta a due fattori: Problemi di natura respiratoria, e problemi di natura muscolare a carico dei muscoli Romboidi (superiore e inferiore) , e sopratutto del trapezio. L’aspetto respiratorio è quello spesso sottovalutato, ma rappresenta forse il 50% delle cause di dolore, e naturalmente una corretta respirazione potrebbe immediatamente detendere le strutture muscolari deficitarie e donare benessere.
Altra causa molto frequente sono gli stati ansiosi, psicologici, con atteggiamento in chiusura delle spalle (anteroposizione) e accentuazione della cifosi dorsale, con conseguente sovraccarico della zona dorsale proprio tra le scapole. Di fronte a dei pazienti con questo tipo di dolore dietro le spalle, è fondamentale una anamnesi completa, una valutazione degli organi interni quali Polmoni,stomaco, esofago . In questo caso specifico, è molto importante richiedere una consulenza anche al medico specialista, per escludere eventuali problemi, mediante esami specialistici. Dopo consultazione è possibile risolvere il dolore mediante manovre di osteopatia sia strutturali sia viscerali , volte a ripristinare le eventuali disfunzioni di mobilità causa del dolore.
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Dorsalgia
Con il nome dorsalgia si intende una patologia che coinvolge il tratto dorsale della colonna vertebrale. Il dolore dell’area centrale della colonna vertebrale nella parte centrale che viene definito rachide dorsale, quindi nella zona che si trova tra le scapole è uno dei principali sintomi di questo disturbo ma non è l’unico. Talvolta si presenta come un bruciore, una tensione e rigidità delle masse muscolari che coinvolge completamente la zona scapolare. Altre volte, la dorsalgia, si può manifestare con delle fitte improvvise e molto dolorose oltre a crampi che interessano i muscoli. Ci sono poi dei casi in cui il dolore viene avvertito in modo preciso e localizzato al centro della colonna per poi amplificarsi quando si eseguono alcuni specifici movimenti o nel momento in cui ci si sdraia nel letto.
Come ogni problema legato alla muscolatura e alle ossa, in particolare alla colonna vertebrale, è difficile identificare una sola causa. Le motivazioni dello sviluppo del dolore può essere legato a diverse motivazioni che agiscono nello stesso momento apportando disagio e infiammazione. Tra le cause principali ci sono l’eccessiva tensione della muscolatura del diaframma, questo problema nasce spesso da stati ansiosi e di forte stress emotivo. I problemi di cervicale sono un altro motivo di sviluppo di dorsalgia in quanto il dolore si può irradiare anche nell’area dorsale. Un’altra causa proviene da cause viscerali, in particolar modo si tratta di problematiche gastro-intestinali, inoltre anche i traumi o postumi di situazioni traumatiche a carico delle vertebre. La postura scorretta è uno degli errori più comuni che portano a sviluppare una dorsalgia. Le persone che hanno l’abitudine di mantenere una postura con spalle portate in avanti o schiena in ipercifosi, sviluppano spesso una situazione dolorosa a carico della zona dorsale infra-scapolare. Non bisogna sottovalutare il diaframma e la sua importante funzione, vediamo qual’è la correlazione con il dolore dorsale.
Il primo obiettivo del programma terapeutico è quindi la riduzione del dolore e della contrattura che si ottiene attraverso l’utilizzo di terapie fisiche (tens, laser, ipertermia, impacchi caldo-umidi, ultrasuoni) ma soprattutto con la terapia manuale , seguita dalla massoterapia decontratturante per i paravertebrali dorsali e lombari, romboidei e trapezi. Parallelamente è necessario l’allungamento muscolare dei suddetti muscoli che sono generalmente ipertonici e retratti , mediante una correzione posturale dell’assetto globale del rachide, viziato da atteggiamenti scorretti acquisiti nel tempo.
Alla scomparsa del dolore il programma rieducativo si incentra sull’attività aerobica consentita e sul recupero muscolare degli stabilizzatori dell’addome (trasverso), dei muscoli di spalla e dorso che presentano deficit di forza (deltoide, trapezio, bicipite, tricipite, gran dorsale, romboidi) mediante il medical fitness.
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Epicondilite
L’epicondilite è l’infiammazione dell’epicondilo, una piccola parte dell’articolazione del gomito che si può infiammare, e se trascurata può diventare seriamente invalidante. L’epicondilite è infatti una malattia infiammatoria ad andamento progressivo, che consiste in una tendinopatia di origine meccanica, dovuta a microtraumi ripetuti.
Il tendine infiammato diventa rigido e impedisce la completa distensione dei muscoli flessori di avambraccio, polso e mano.
Purtroppo l’epicondilite viene spesso confusa con una contusione, mentre in realtà andrebbe trattata con tempestività per evitare danni a questa delicata articolazione e in particolare ai tendini dell’avambraccio.
Viene definita come” gomito del tennista”, ma, come facilmente intuibile, non colpisce “solo” i tennisti, e nemmeno gli sportivi in generale, ma predilige tutti coloro che per ragioni professionali o altro, compiano con il braccio e la mano gesti ripetitivi e meccanici per lunghi periodi.
I sintomi dell’epicondilite
Il primo sintomo dell’infiammazione è il dolore nella zona del gomito, con una possibile irradiazione al polso e alla mano. Il dolore tipicamente insorge sul lato del gomito, e si intensifica quando si distendono il braccio, o la mano, o si ruota il polso. Oltre al dolore si possono riscontrare:
- Perdita di forza nella presa, braccio debole;
- Difficoltà a compiere gesti normali come sollevare una serranda, reggere le buste della spesa, aprire una bottiglia o la serratura di casa, stringere una mano;
- Difficoltà a distendere il braccio, che appare più corto dell’altro.
Le categorie più a rischio sono tutti coloro che per professione o svago tendono a compiere sempre gli stessi movimenti che coinvolgono appunto l’articolazione di gomito, polso e mano, tra cui:
- Cuochi;
- Pittori e imbianchini;
- Musicisti;
- Baristi addetti alla macchina del caffè;
- Sarti;
- Carpentieri;
- Barbieri e parrucchieri.
Altra categoria a rischio è chi studia o comunque sta davanti al pc a lungo ogni giorno. L’uso continuo del mouse non solo può provocare una tendinopatia specifica che non a caso è chiamata tendinite da mouse, ma è spesso all’origine di casi di gomito del tennista e tunnel carpale.
Vi è infine un’altra possibile causa del gomito del tennista, spesso sottovalutata: la compresenza di problemi alla rachide cervicale, tra cui forme di artrosi o ernie con infiammazione che si estende alle altre articolazioni. La compresenza di dolore cervicale può generare il sospetto nell’ortopedico.
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Epitrocleite
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Ernia discale
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fascite plantare
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glutalgia
Così come dice chiaramente il termine, la glutalgia è il dolore a uno o a entrambi i glutei. Si tratta di una sindrome molto diffusa legata principalmente all’assunzione di posture non corrette per lungo tempo e alla cattiva abitudine di trascorrere diverse ore della giornata seduti. Il dolore viene percepito a livello dei glutei, ma può a volte irradiarsi anche lungo la faccia posteriore delle cosce, per questo motivo viene spesso confusa con la sciatalgia. Di solito i dolori sono più intensi al risveglio o nel passaggio dalla posizione seduta a quella eretta. Alcuni Autori ritengono che fino all’8% dei casi di sciatalgia siano imputabili alla sindrome del dolore gluteo profondo. Nella SDGP il dolore è solitamente monolaterale, colpisce maggiormente il sesso femminile, i ballerini e tra gli sportivi i podisti, vogatori e ciclisti. Altri fattori predisponenti sono sovrappeso, dismetrie agli arti inferiori, traumi glutei e sindromi ansioso-depressive. Sintomi e segni clinici: il sintomo tipico è il dolore gluteo talvolta irradiato alla coscia posteriore, accompagnato da parestesie; i pazienti riferiscono spesso un pregresso trauma gluteo, zoppia durante la deambulazione, difficoltà a salire le scale, ridotta tolleranza alla postura seduta ed incapacità di accavallare le gambe. All’esame obiettivo a paziente supino con arti inferiori estesi, l’atteggiamento in rotazione esterna dell’arto affetto può essere indice di un accorciamento di piriforme e degli altri extra-rotatori. In decubito laterale con anca e ginocchio flessi a 90° gradi la palpazione della regione glutea provoca dolore e si possono apprezzare cordoni muscolari contratti.
Le principali strutture presenti nello spazio sotto-gluteo che possono comprimere il nervo sciatico sono:
- Cicatrici fibrose
- Muscoli (piriforme, otturatori, gemelli e quadrato del femore)
- Tendini (ischio-crurali)
- Ossa (conflitto ischio-femorale)
- Strutture vascolari (arterie iliache e glutee)
- Altre cause
Il trattamento è inizialmente conservativo, basato su riposo funzionale dalle attività favorenti la sindrome, terapia farmacologica (FANS, Neurotrofici e miorilassanti), terapia manuale , esercizi terapeutici (molto importanti gli esercizi di neuro-dinamica per il nervo sciatico) e di riequilibrio posturale.
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lesioni muscolari
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lombalgia
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MAL DI TESTA
Metatarsalgia
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- Valutazione Baropodometrica
- Manipolazione Fasciale
- E.N.F.
Plagiocefalia
La plagiocefalia è un’alterazione cranica tipica degli infanti, più precisamente nel loro primo anno di vita.
Questa alterazione è caratterizzata da un appiattimento unilaterale della regione occipito-parietale della volta cranica, possiamo definirla come una condizione clinica di asimmetria craniale che ha una prevalenza che va dal 5-48% nei neonati sani.
I fattori di rischio e le cause di questa alterazione cranica sono molteplici:
- Associazione di torcicollo miogeno
- Parto prematuro
- Posizione intrauterina
- Craniosinostosi
- Mantenimento prolungato della posizione supina durante il sonno
Proprio riguardo quest’ultima causa è doveroso fare alcune precisazioni:
Le recenti linee guida internazionali per la prevenzione della sindrome da morte improvvisa infantile ( SIDS: Sudden Infant Death Syndrome ) definita comunemente morte “in culla”, hanno riconosciuto la posizione supina del lattante come la più sicura modalità di riposo notturno del neonato.
Ovviamente questa corretta indicazione ai neo-genitori ha fatto aumentare in modo esponenziale la presenza di deformità cranica come la plagiocefalia nei neonati.
In genere, la testa di un soggetto con plagiocefalia possiede la forma di un parallelogramma di tipo romboide, con diverse altre peculiarità, come: un orecchio in posizione più avanzata rispetto all’altro, un occhio più piccolo dell’altro ecc.
La diagnosi è alquanto immediata e si basa, di solito, sul solo esame obiettivo.
Salvo eccezioni, la plagiocefalia di grado lieve guarisce senza particolari trattamenti medici, ma soltanto con dei semplici accorgimenti (variare la posizione del bambino quando è sveglio; metterlo a dormire su un ripiano leggermente inclinato ecc). Per quanto riguarda invece le forme moderate e gravi è necessario integrare dei veri e propri trattamenti neonatali:
- Osteopatia neonatale: Una serie di protocolli che ci permettono di ridare elasticità a quelle suture che presentano una riduzione di mobilità, la funzione dell’osteopatia craniale nei neonati affetti da plagiocefalia non è infatti quella di “rimodellare” il cranio, bensì quella di ridare mobilità favorendo uno sviluppo craniale il più possibile simmetrico.
- “Tummy time”, ovvero una serie di esercizi e attività in posizione prona proposte in modo ludico al neonato per stimolare la muscolatura cervico-dorsale posteriore. Sarà il fisioterapista/osteopata ad “insegnare” le attività corrette ai genitori indirizzandoli a promuovere questo tipo di esercizi durante la quotidianità.
- Ortesi craniche: nelle forme più gravi lo specialista medico può prendere in considerazione l’utilizzo di veri e propri elmetti che permettono “guidare” lo sviluppo cranico settimana dopo settimana.
Conclusioni
Se non è di grado elevato o sostenuta da cause particolarmente gravi come le CRANIOSINOSTOSI (condizione clinica che necessità di supporto specialistico neurochirurgico), la plagiocefalia muscolare e posizionale è una condizione che può essere gestita serenamente con l’aiuto del vostro osteopata di fiducia.
Quest’ultimo, attraverso dei trattamenti specifici e con l’aiuto di semplici accorgimenti condivisi con i genitori, sarà fondamentale nel favorire un rimodellamento del cranio.
Le forme di plagiocefalia lievi guariscono del tutto tra il primo e il secondo anno di vita.
Problemi di deglutizione
L’apparato stomatognatico presiede le funzioni di masticazione, deglutizione, fonazione, morso e, in collaborazione con altri sistemi, respirazione; inoltre si integra in maniera articolata con il sistema tonico posturale.La lingua è l’unica forza centrifuga e l’unico punto di partenza da cui si sviluppano mandibola, mascellari superiori e muscolatura oro-facciale La forza di gravità a livello linguale viene in gran parte neutralizzata dalla pressione negativa intraorale e quindi risulta essere poco importante. La deglutizione viene definita come la propulsione del cibo dalla bocca allo stomaco. La postura corporea viene fortemente influenzata dal complesso faringo-laringo-linguo-ioideo. La funzione orale è la prima che si sviluppa nel feto, infatti già a 10 settimane compare la suzione e a 15 settimane la deglutizione. A volte però, la deglutizione infantile non evolve naturalmente verso quella adulta creandosi cosi una deglutizione definita atipica.
Nel corso degli anni sono stati identificate diverse cause:
- ABITUDINI ALIMENTARI – Allattamento prolungato, Svezzamento ritardato
- ABITUDINI VIZIATE – Succhiare il pollice, Succhiare la lingua, Mangiare le unghie, Uso prolungato del ciuccio, Digrignare i denti (bruxismo).
- ALTRE CAUSE – respirazione orale, ipertrofia adenotonsillare → apnee notturne, roncopatia (russamento)
- Disfunzione tubarica e/o otiti, malattie allergiche, anomalie posturali di capo e corpo.
Le forze sviluppate durante la deglutizione, sono ammortizzate sulle articolazioni temporo-mandibolari e sulle arcate dentarie dalla lingua, che funziona come un menisco. Facile comprendere come uno scorretto posizionamento linguale possa interferire nella deglutizione.
Cause della deglutizione atipica:
La deglutizione atipica può causare delle problematiche al livello delle prime vertebre cervicali, soprattutto l’atlante in quanto c’ è un legame anatomico. Può influenzare le arcate dentali in quanto ed esempio una PULSIONE ALTA della lingua può causare un MORSO APERTO caratterizzato da una beanza anteriore che impedisce il contatto fra gli incisivi superiori e quelli inferiori e all’esame posturale la testa, le spalle e il bacino saranno in avanti, con accentuazione delle curvature fisiologiche della colonna e tendenza ai piedi cavi. La PULSIONE BASSA della lingua può dare PROGNATISMO (CLASSE III) quando molari o canini o mandibola si trovano troppo avanti rispetto ai corrispondenti superiori. Una deglutizione atipica può creare problematiche a livello temporo-mandibolare , può creare problematiche mandibolari e di conseguenza delle disfunzioni biomeccaniche dell’osso ioide che si potranno ripercuotere a livello cervicale. Lo Ioide è il punto cruciale di collegamento delle catene muscolari da cui dipende la postura. Nella parte superiore, l’osso Ioide è collegato alla mandibola, uno spostamento spaziale della mandibola corrisponde a uno spostamento dell’osso Ioide che a sua volta modifica la tensione muscolare anteriore e posteriore. I pazienti con una deglutizione atipica oltre a tutte le problematiche di tipo posturale possono presentare frequenti fenomeni di otiti, riniti, sinusiti rinofaringiti, ronzii, sensazione di avere le orecchie chiuse
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Sindrome del tergicristallo
(bendeletta ileotibiale)
Conosciuta come sindrome del tergicristallo, itbs (ileotibial band syndrome), ginocchio del corridore o semplicemente bendelletta: e’ una tendinite dovuta ad uno sfregamento del tendine del tensore della fascia lata sul condilo laterale del ginocchio. Si manifesta con un dolore pungente sulla parte esterna del ginocchio. Viene spesso confusa con un problema al menisco perche’ spesso il dolore si manifesta solamente nel momento di carico e sopratutto in discesa. E’ la causa piu’ frequente di dolore esterno al ginocchio nei podisti, i ciclisti e i triatleti.
In uno studio condotto da Aderem J, Louw QA è stato visto che La debolezza dell’abduzione dell’anca e l’eccessiva intrarotazione del ginocchio può essere associata alla sindrome della fascia ileotibiale nei corridori.
Il sintomo preponderante è chiaramente il dolore: acuto, localizzato sulla faccia esterna laterale del ginocchio, che crea difficoltà nello svolgimento delle attività sportive e le normali attività quotidiane. Probabilmente, questo è anche il sintomo che ti convincerà a iniziare un piano di riabilitazione e iniziare a migliorare il prima possibile. Altri possibili sintomi sono quelli tipici delle tendiniti e vanno dal gonfiore alla rigidità e si accentuano quando si carica eccessivamente il ginocchio o quando si svolge un’attività, sportiva o meno, che richiede una particolare sollecitazione di questa articolazione. In particolare, il momento in cui capiterà di sentire un dolore o un bruciore più acuto sarà probabilmente quando si fletterà il ginocchio, ovvero quando si proverà a correre o quando ci si accovaccerà per allacciare una scarpa. La ragione è legata proprio al movimento dei muscoli all’altezza dell’anca e a cui la bandelletta ileotibiale si lega: in flessione d’anca quei muscoli sono maggiormente sollecitati, e quindi caricano più lavoro sul tendine.
Dolori simili che possono trarre in inganno:
- I principali inganni in questo caso vengono da due patologie in particolare:
- sciatica;
- meniscopatia al menisco esterno.
Per questo è importante effettuare una corretta valutazione con personale specializzato per individuare la giusta cause ed impostare il trattamento più idoneo.
Per questo tipo di patologia è fondamentale eseguire una valutazione biomeccanica della corsa e dei test di forza muscolare per capire l’anello debole che ha causato un sovraccarico di questa struttura. Terapie ad onde d’urto, terapia manuale fasciale e terapia manuale osteopatica possono aiutarti a risolvere il problema.
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Trattamento Consigliato
sindrome dello stretto toracico
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Trattamento Consigliato
Sindrome di De Quervain
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Trattamento Consigliato
Sindrome del Piriforme
sindrome di Tietze
La sindrome di Tietze è una malattia infiammatoria delle cartilagini costali (cioè delle costole ) e sternali (cioè dello sterno), che provoca dolore, gonfiore e senso di intorpidimento in corrispondenza delle sedi colpite.Nonostante i diversi studi svolti a riguardo, le cause della malattia rimangono ancora sconosciute. Per una diagnosi corretta, è fondamentale l’esame obiettivo, durante il quale il medico analizza, uno a uno, i sintomi lamentati dal paziente. La sindrome di Tietze assomiglia alla costocondrite, ma non è la stessa malattia (seppur, per certi versi, le due patologie si assomiglino molto).
Non tutte le cartilagini, poste nelle zone citate, sono ugualmente soggette a sindrome di Tietze. Infatti, c’è un’area, compresa tra la seconda e la terza costola, che è più suscettibile, rispetto alle altre, all’infiammazione. L’infiammazione è una risposta naturale del corpo alle infezioni, alle irritazioni o ai traumi.
Nel caso della sindrome di Tietze, la causa precisa dello stato infiammatorio non è conosciuta, malgrado tutte le ricerche fin qui svolte. Le varie indagini hanno preso in considerazione:
- Infezioni delle vie aeree respiratorie superiori, come la sinusite e la laringite
- Tosse o conati di vomito forti e ripetuti, che stressano fortemente la regione toracica
- Trauma fisico al torace, Eccessiva tensione al torace (dovuta ad uno sforzo fisico estremo)
- Postumi di una radioterapia al torace (fatta, per esempio, per un tumore), che si palesano anche a distanza di anni
Sintomi
Le manifestazioni cliniche comprendono l’insorgenza improvvisa o graduale di dolore di intensità variabile nella parete antero-superiore del torace, in associazione con un gonfiore delle cartilagini costali, di aspetto fusiforme e morbido alla palpazione. Nonostante la possibilità che il dolore possa irradiarsi alla spalla, braccio e al collo, la sua distribuzione di solito è all’interno del segmento innervato dalle fibre afferenti che trasportano l’impulso doloroso. Il dolore è spesso aggravato dal movimento della parete toracica, da starnuti, tosse, respirazione profonda, flessione, sforzo e posizione prona. Alcuni pazienti riferiscono l’incapacità di trovare una posizione comoda nel letto e hanno dolori quando si girano nel letto; cambiamenti climatici, ansia, preoccupazione e la stanchezza possono esacerbare i sintomi. Il dolore è solitamente monolaterale, senza un emitorace preferenziale. Non viene riportata alcuna associazione con la sternotomia.
Spina calcaneare
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tendinopatia
La definizione di tendinopatie è spesso poco chiara, si spazia dal dolore tendineo, ad anomalie strutturali rilevate con imaging alle diagnosi sport specifiche come il ginocchio del saltatore o il gomito del tennista.
Si parla di una patologia sottostimata perché molte persone continuano lavoro e sport nonostante il problema al tendine; le cause sono sovraccarichi, gesti ripetuti, traumi, fattori biomeccanici o alterata funzionalità dell’arto.
Si pensa che l’origine alla base è un danno al tendine; nella fase acuta è caratterizzata da infiammazione del tendine, che dura però solo uno o due giorni, dopo comincia una fase di guarigione che fallisce e il dolore perdura.
Gli uomini sono più colpiti delle donne, almeno fino alla menopausa, dopo la quale sembra aumentare il rischio per il sesso femminile; Il sovrappeso aumenta il rischio di sviluppare tendinopatie e contemporaneamente di insuccesso terapeutico.
Solo il 30-50% dei pazienti riceve un trattamento raccomandato, per questo motivo il rischio di cronicizzazione della patologia è molto alto.
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vertigini
(o sindrome vertiginosa)
La vertigine è una sensazione di disorientamento nello spazio o una percezione di instabilità. Non è una malattia, ma il sintomo di una patologia che coinvolge il sistema di controllo dell’equilibrio.
L’equilibrio è la risultante dell’interazione di più sistemi: orecchio, occhio, muscoli del collo e cervello.Un disturbo di uno o più di questi sistemi, può creare problematiche che si traducono in un deficit del controllo dell’equilibrio e conseguentemente, nella comparsa delle vertigini.
La vertigine che deriva da una patologia dell’orecchio dovuta ad un problema vascolare del microcircolo, da un’alterazione dei liquidi endolabirintici o da patologia del nervo acustico, può provocare un fenomeno acuto o cronico, accompagnato in alcuni casi da sordità e acufeni.
La vertigine può essere accompagnata da fenomeni vagali, quali nausea e vomito, ma mai da lipotimie transitorie (sensazione improvvisa di debolezza) nè perdita di coscienza. La vertigine centrale deriva dall’incapacità del cervello di coordinare gli input dell’equilibrio che arrivano dalla periferia. La sensazione di instabilità si presenta spesso associata a insufficienza circolatoria, fenomeni metabolici, traumi, stress emotivi e tossicosi alcolica (da farmaci o droghe).
La vertigine legata alla muscolatura del collo deriva, invece, da spasmi muscolari che creano scariche nervose anomale, causando instabilità o vertigine. Lo spasmo deriva da trauma, artrosi o compressione dei nervi del tratto cervicale. I disturbi della visione da difetti della muscolatura oculare o di perdita visiva, possono causare instabilità.
Le vertigini possono insorgere a seguito di un problema all’apparato vestibolare dell’orecchio interno, oppure a causa di un problema che interessa l’encefalo. Le vertigini derivanti da un’alterazione dell’apparato vestibolare – che è l’organo dell’equilibrio – prendono il nome di vertigini periferiche (oggettive).
Le vertigini che, invece, derivano da un problema dell’encefalo – per la precisione, o del cervelletto o del tronco encefalico – sono meglio conosciute come vertigini centrali (soggettive).
Diagnosi Vertigini: come riconoscerle e individuare le Cause
In genere, di fronte a un paziente che lamenta vertigini, il medico procede nel seguente modo: per prima cosa, sottopone il soggetto a un breve questionario; dopodiché esegue un accurato esame obiettivo e analizza attentamente la storia clinica (anamnesi); infine, in base al quadro sintomatologico e a ciò che è emerso dalle valutazioni precedenti, prescrive esami più approfonditi.
Ai pazienti che lamentano vertigini, il medico chiede solitamente:
- Una descrizione del primo episodio di vertigini.
- Una descrizione degli eventuali sintomi associati. In questi frangenti, è particolarmente importante che il medico sappia se il paziente ha sofferto di perdita dell’udito, tinnito, nausea e/o vomito.
- Quanto frequenti sono gli episodi di vertigini e quanto durano.
- Se ci sono particolari gesti o movimenti che peggiorano la sintomatologia. Per esempio, un movimento particolare della testa o alzarsi velocemente da una sedia o un letto sono due atti spesso associati a un peggioramento dei quadro sintomatologico.
Esame obiettivo
L’esame obiettivo rappresenta il primo passo verso l’individuazione della condizione che scatena gli episodi di vertigini. Nell’eseguirlo, il medico visita il paziente, valutando la sintomatologia. L’analisi interna delle orecchie e le prove per il nistagmo sono due momenti chiave dell’esame obiettivo. Tra gli esami d’approfondimento, rientrano:
Svariati test dell’udito (o test audiometrici) chiariscono se il paziente soffre di tinnito e/o perdita dell’udito.
La videonistagmografia e l’elettronistagmografia. Sono due esami per l’analisi dettagliata dei segni di nistagmo. Entrambi prevedono che il paziente indossi dei particolari occhiali e osservi degli oggetti in movimento. Le prove termiche per l’orecchio. Prevedono l’introduzione nell’orecchio del paziente di soluzioni calde o fredde (o, in alternativa, di aria calda o fredda), allo scopo di vedere come i cambi di temperatura influiscono sull’organo dell’equilibrio, situato a livello dell’orecchio interno. In genere, l’introduzione nell’orecchio delle soluzioni calde o fredde (o dell’aria) dura circa 30 secondi. Un esame posturografico. Prevede l’utilizzo di un macchinario particolare che valuta le capacità di equilibrio del paziente, fornendo informazioni utili in merito a visione, propriocezione ecc. Esami di diagnostica per immagini. In genere, i più praticati sono la TAC e la risonanza magnetica nucleare (RMN). TAC e RMN sono procedure indolori, che forniscono al medico immagini dettagliate degli organi e dei tessuti interni del corpo umano. Diversamente dalla RMN, la TAC è lievemente invasiva, in quanto espone il paziente a una dose non trascurabile di radiazioni ionizzanti.
Trattamento: come curare le vertigini
Il trattamento di fisioterapia per le vertigini consiste nell’andare a riequilibrare il sistema cranio-oculare, effettuando delle manovre sul tratto cervicale e sugli occhi contemporaneamente. In più, verrà eseguito un trattamento di manipolazione fasciale e strutturale , che mira al ripristino dell’equilibrio tensionale sul quale si trovano posizionati i propriocettori che hanno il compito di fornire al snc la posizione del corpo nello spazio.
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Trattamento Consigliato
Whiplash
(Colpo della frusta)
Si definisce whiplash (colpo di frusta) un trauma distorsivo del rachide che abbia un “effetto sorpresa”, nel quale cioè si riscontri un meccanismo accelerativo-decelerativo di trasferimento di energia sul collo che può conseguire a collisioni anteriori o laterali di veicoli a motore o a seguito di eventi traumatici legati ad attività sportive. Con tale definizione si intende una sollecitazione acuta del rachide cervicale associata distorsione o distrazione o temporanea sublussazione nei casi più gravi, con frequente interessamento delle strutture legamentose, del disco intervertebrale, della capsula e dei muscoli. Il fenomeno del colpo di frusta è tanto più forte quanto più la decelerazione è violenta. In ogni caso, l’evento traumatico generalmente determina un’improvvisa escursione del capo sui vari piani dello spazio.
Può verificarsi:
una iperestensione (la testa si piega all’indietro sul collo e i muscoli flessori si contraggono) seguita da una iperflessione (la testa rimbalza in avanti comprimendo le strutture del collo). Questa condizione si verifica spesso per il classico tamponamento automobilistico, dove il soggetto posizionato nell’auto tamponata subisce un primo trauma che gli porta la porzione cervicale in iperestensione e, dopo l’urto, si verifica una sorta di “rimbalzo” tale da forzare la zona cervicale in iperflessione.
L’OMS definisce la nozione di:
- whiplash (colpo di frusta)
- whiplash injury (conseguenze lesionali del colpo di frusta)
- whiplash associated disorders (manifestazioni cliniche secondarie al whiplash injury, le cosiddette WAD, vero nodo cruciale del problema)
Sintomi
Ogni colpo di frusta è diverso a seconda dei tanti fattori che possono variare a seconda dei casi: l’età, la dinamica dell’incidente, le condizioni osteoarticolari, i legamenti, la velocità al momento dell’incidente ecc.. La gravità del colpo di frusta dipende anche dalla brusca accelerazione o decelerazione che il corpo subisce in seguito allo shock. Anche i sintomi, dunque, possono variare da caso a caso. Quelli più comuni sono:
indolenzimento, mal di testa, dolori a spalle, collo e braccia, vertigini, formicolii, debolezza, nausea e vomito, dolori al petto, sbalzi di pressione, perturbazione sfera visiva o vestibolare, amnesia.
Colpo di frusta Criteri diagnostici
Non esiste un test diagnostico specifico per il colpo di frusta. La diagnosi viene effettuata in base ai sintomi riferiti dal paziente. Le indagini radiografiche ed altre tecniche di imaging non sono utili nella maggioranza dei casi per identificare una lesione strutturale. Le linee guida cliniche attuali raccomandano che le tecniche di imaging vengano utilizzate soltanto nei casi sospetti di frattura o dislocazione. Il “Quebec Task Force Classification” è il sistema di classificazione più comune e riconosciuto. Esso è comunque non-specifico, particolarmente per quanto riguarda il Grado II di classificazione del WAD. Non prende in considerazione caratteristiche motorie, sensitive e psicologiche recentemente identificate.
Trattamento
Gli interventi con la maggiore evidenza di efficacia di trattamento per il colpo di frusta acuto sono:
- Rassicurazione del paziente, informazione ed istruzioni specifiche per mantenere i livelli di attività
- Esercizio, inclusi esercizi funzionali specificamente prescritti come pure esercizi per il range di movimento e di rieducazione muscolare. Indossare collari può ritardare il recupero.
- Trattamenti psicologici, che possono essere efficaci combinati alla riabilitazione, terapia manuale osteopatica