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Patologie dell'area

Ortopedica

Il gruppo delle patologie ortopediche comprende varie malattie degenerative e traumatiche dell’apparato locomotore. In seguito ad incidenti ed eventi traumatici, infatti, l’apparato locomotore può andare incontro a infiammazioni o fenomeni degenerativi che ne alterano il normale funzionamento.

Artrosi scapolo omerale

Per artrosi scapolo omerale si intende un processo lento e degenerativo a carico dell’articolazione scapolo omerale, ovvero, quella che costituisce la spalla. L’artrosi alla spalla è principalmente dovuta all’usura della stessa. La spalla infatti è l‘articolazione più mobile del corpo e quella che al contempo va incontro più facilmente ad usura. Il trattamento di questa condizione è inizialmente riabilitativo, attraverso l’utilizzo di terapie fisiche antalgiche volte all’eliminazione del dolore e dell’infiammazione dovuta al progressivo avanzare della patologia. Oltre alle terapie fisiche (TENS, laserterapia, elettroterapia) è utile la rieducazione motoria , volta al miglioramento dei movimenti per l’articolarità e forza muscolare. Qualora la terapia conservativa dovesse subire, è utile consultare uno specialista ortopedico che indirizzi all’intervento migliore da eseguire.

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Capsulite adesiva

La spalla congelata (frozen shoulder), chiamata anche capsulite adesiva, è una condizione caratterizzata da dolore alla spalla cui spesso è associata la perdita di movimento. È una patologia che colpisce soprattutto gli adulti nella fascia d’età che va dai 40 ai 60 anni con maggiore frequenza nelle donne rispetto agli uomini. La spalla congelata è dovuta all’irrigidirsi del complesso capsulo-legamentoso che tiene l’omero e la scapola insieme, causando quindi una rigidità della spalla. La capsula diventa spessa, tesa e si possono sviluppare rigide fasce di tessuto chiamate “aderenze”. La capsulite può colpire contemporaneamente una o entrambe le spalle, ma raramente può dare recidive e quindi ripresentarsi nella stessa spalla una volta guarita. La capsulite adesiva colpisce con più frequenza il sesso femminile, in un’età che varia tra i 35 e i 50 anni e si accompagna in genere a patologie metaboliche (diabete o iper / ipotoroidismo); si ritiene inoltre che possa essere associata a problemi autoimmuni, ma gli studiosi non hanno ancora evidenziato perché questa patologia interessi alcuni soggetti piuttosto che altri.

La capsulite adesiva si presenta generalmente in modo progressivo:

Nella prima fase, i movimenti dell’articolazione risultano piuttosto dolorosi, per quanto ancora possibili, mentre l’ampiezza dei movimenti si riduce mano a mano. Questa fase può durare in media tra i due e i nove mesi. La seconda fase è contrassegnata da una lieve diminuzione del dolore, associata ad una forte riduzione dell’ampiezza dei movimenti effettuabili, per un periodo che va dai quattro ai nove mesi. La fase seguente, chiamata di “scongelamento”, prevede un ulteriore ampliamento delle possibilità di movimento dell’articolazione, fino al recupero, che può risultare totale o soltanto parziale. Questa fase può durare tra i sei mesi e i due anni.

I trattamenti per questa patologia si basano sulla diminuzione del dolore e sul recupero della mobilità dell’articolazione. Lo specialista in genere prescrive farmaci antinfiammatori e antidolorifici. Tuttavia si tratta di una malattia con tempi di recupero piuttosto lunghi e per la quale è complicato valutare i vantaggi e gli svantaggi dei diversi trattamenti.

Tra le opzioni terapeutiche per la capsulite adesiva sono incluse:

  • Terapia farmacologica abbinata a fisioterapia
  • Iniezioni di corticosteroidi, per cercare di alleviare il dolore e perfezionare la mobilità articolare
  • Intervento chirurgico in artroscopia, qualora; l’ortopedico ritenga che la rimozione di parte; del tessuto capsulare possa risultare utile.

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Coxartrosi

Coxartrosi è una degenerazione dell’articolazione dell’anca che con il passare del tempo va incontro ad usura. In genere, la coxartrosi insorge a causa di diversi fattori: età avanzata, traumi, fratture, sovraccarico funzionale. Fattori predisponenti per l’insorgenza della coxartrosi sono sedentarietà, sovrappeso, diabete, patologie autoimmuni (artrite reumatoide e gotta). Si manifesta attraverso i seguenti sintomi: dolore, rigidità articolare, difficoltà a deambulare. Ci sono diversi stati di coxartrosi, in genere, nel primo stadio il dolore compare in seguito ad un movimento intenso e con il riposo il dolore si placa. Nel secondo stadio, invece, il dolore è più intenso e si distribuisce in un’area anatomica più grande, interessando anche l’area inguinale e la zona anteriore della coscia. Il dolore può comparire anche a riposo.

Distorsioni

Una distorsione è un evento traumatico che consiste nella perdita momentanea e reversibile della congruità articolare dovuta ad un movimento anomalo a carico dell’articolazione; è causata da traumi o contusioni soprattutto delle ossa più sporgenti, o di movimenti innaturali delle ossa mobili, ma anche un insufficiente tono muscolare può facilitarla. Provoca dolore e gonfiore all’articolazione colpita; comunissime sono le distorsioni di caviglia e ginocchio.

L’approccio riabilitativo è conservativo ed è caratterizzato da immobilizzazione iniziale e limitazione del carico all’articolazione coinvolta, in seguito si lavora sulla riduzione del dolore e del gonfiore prima di lavorare sul recupero del ROM articolare e sul rinforzo muscolare.

Esiti di intervento cuffia dei rotatori

Questo intervento si effettua in seguito a lesione massiva della cuffia dei rotatori che provoca dolore e impotenza funzionale.

Successivamente all’intervento, per permettere la guarigione dei tessuti molli, è importante che il paziente porti un tutore ed eviti movimenti attivi nella prima fase della riabilitazione.

La prima fase della riabilitazione è molto delicata ed è necessario lavorare sulla mobilità passiva della spalla rispettando.

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Esiti di intervento LCA

La gestione del paziente dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore è un percorso fondamentale e delicato, specie nello sportivo.

Immediatamente dopo l’intervento, infatti, il paziente non riesce a muovere l’arto inferiore operato e il ginocchio deve essere immobilizzato con un tutore.

È necessario che il percorso riabilitativo cominci subito e per avere un recupero ottimale bisogna seguire scrupolosamente gli step previsti dalle linee guida riabilitative pur rispettando le diversità tra paziente e paziente. Il paziente postoperatorio si presenta con le stampelle come ausilio nel cammino da utilizzare per circa un mese prima di tornare a comminare normalmente; in questo periodo è importante ridurre dolore e gonfiore, recuperare la mobilità completa del ginocchio e iniziare la riattivazione muscolare. Nella seconda fase, di solito dal secondo mese si inizia a recuperare la forza e la propriocezione dell’arto inferiore; solamente dopo il terzo mese si introducono gesti atletici complessi.

Il fisioterapista segue il percorso riabilitativo nella sua durata, che non è inferiore ai sei mesi; infatti il ritorno all’attività sportiva non può avvenire prima di quel periodo ma non è detto che ce ne possa volere di più. Per essere dimesso il paziente deve avere la forza dei muscoli dell’arto inferiore operato pari almeno al 90% dell’arto sano.

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fratture

Per frattura si intende la soluzione di continuità di un segmento osseo in due o più monconi in seguito a trauma diretto o indiretto.

A seconda del tipo di frattura e di come viene ridotta ci sarà un periodo di immobilizzazione più o meno lungo, a seguito del quale è fondamentale la riabilitazione, durante la quale il paziente dovrà gradualmente reimparare a mettere il carico sull’arto leso e rinforzarlo adeguatamente per tornare ai livelli di attività precedenti alla frattura.

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Gonartrosi

Gonartrosi è una patologia degenerativa a carico dell’articolazione del ginocchio. Interessa soprattutto persone che per attività sportiva o lavorativa, sollecitano continuamente il ginocchio, portandolo ad un sovraccarico eccessivo che con il tempo ne determina l’usura. La diagnosi si basa sull’anamnesi del paziente, sulla visione di accertamenti diagnostici quali Rx, TAC, RMN. Nell’effettuare il trattamento si procede per gradi, attuando dapprima una terapia conservativa e quindi un percorso di fisioterapia creato specificatamente per la persona, solo nel caso di fallimento e della persistenza dei sintomi, si effettuerà un trattamento chirurgico.

Lesioni meniscali

I menischi sono due cuscinetti di fibro cartilagine a forma di C interposti tra femore e tibia che hanno il ruolo di ammortizzare i colpi all’interno dell’articolazione del ginocchio. Le lesioni meniscali possono avere origine in seguito ad un evento traumatico o degenerativo. I sintomi associati a lesioni meniscali sono dolore, formazione di edema che provoca gonfiore e limitazioni nei movimenti di flesso-estensione del ginocchio.

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Lussazioni

Si parla di lussazione quando un capo articolare, in seguito ad un brusco movimento o ad un trauma, fuoriesce dalla sua naturale posizione naturale. Si tratta di un evento molto doloroso che può causare danni alla capsula articolare e ai tendini e legamenti che la circondano provocando instabilità.

Il primo approccio è di tipo conservativo e consiste nell’immobilizzazione dell’articolazione coinvolta in un primo momento e in seguito recupero della mobilità dell’articolazione e rinforzo muscolare.

Talvolta la lussazione provoca danni tali che si rende necessario l’intervento chirurgico di stabilizzazione.

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Morbo di Haglund

Si tratta di una deformità ossea della regione supero-posteriore del calcagno; provoca dolore nella regione retrocalcaneare, edema e a volte borsite associata.

Il trattamento è conservativo e sintomatico fino a quando questa deformità non è talmente grande da irritare il tendine d’Achille; a quel punto il trattamento è chirurgico.

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Osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia sistemica dell’apparato scheletrico, caratterizzata da una bassa densità e da aumento della fragilità ossea legato prevalentemente all’invecchiamento. Questa situazione porta, conseguentemente, ad un aumentato rischio di frattura (in particolare di vertebre, femore, polso, omero, caviglia) per traumi anche minimi.

L’osteoporosi colpisce soprattutto le donne dopo la menopausa e per contrastarla è necessario cambiare il proprio stile di vita.

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Periostite tibiale

La periostite tibiale o sindrome da stress tibiale mediale (shin splints) è una condizione frequente che interessa la gamba, causata da un sovraccarico ripetitivo sulla tibia. Questo accade soprattutto nei soggetti che praticano la corsa, in quanto l’impatto continuo dell’arto inferiore con il suolo, causa uno stress alla tibia e alla muscolatura circostante, soprattutto se non vi è un adeguato tempo di recupero. La caratteristica principale è il dolore alla tibia che si presenta associato all’attività e si riduce con il riposo.

La periostite tibiale è la forma più comune: ad essere coinvolto è il periostio della tibia nelle aree in cui si inseriscono i muscoli soleo e tibiale posteriore e la fascia che le ricopre. A seconda della zona nella quale è localizzato il processo infiammatorio si possono distinguere:

  • Periostite tibiale anteriore: l’infiammazione è localizzata nella zona frontale della tibia;
  • Periostite tibiale posteriore: l’infiammazione è localizzata nella regione interna della gamba, lungo la tibia.

Per completezza è bene ricordare che la periostite tibiale viene indicata anche come:

  • Sindrome mediale della tibia;
  • Sindrome del muscolo soleo;
  • Sindrome del muscolo tibiale posteriore.

La diagnosi è prevalentemente clinica con l’eventuale utilizzo di esami strumentali per confermare la diagnosi o, nei casi dubbi, per escludere altre patologie. Il trattamento utilizzato in tutti i casi è quello di tipo conservativo con fisioterapia, riposo relativo ed eventuale utilizzo di FANS e ghiaccio. Il trattamento chirurgico è indicato, invece, solo in rarissimi casi.

Caratteristiche e Sintomi

Il sintomo caratteristico della periostite tibiale è un dolore vago e diffuso all’arto inferiore, riferito lungo il bordo posteromediale della tibia (o stinco) e solitamente associato al movimento. Nelle prime fasi della condizione, questo è presente durante attività fisiche importanti come ad esempio un allenamento sportivo: è peggiore soprattutto all’inizio del movimento, attenuandosi gradualmente o scomparendo durante la prosecuzione degli esercizi per poi presentarsi di nuovo dopo aver cessato l’attività fisica. Con il progredire della lesione, invece, il dolore si presenta in modo più costante, anche durante lo svolgimento di attività meno intense e, a volte, può essere riferito anche a riposo. Nei casi più gravi, anche lo svolgimento di attività della vita quotidiana provoca la sintomatologia dolorosa.

Protesi anca

La riabilitazione dopo l’intervento di protesi d’anca ha dei protocolli molto diffusi e conosciuti; recentemente sempre più persone si sottopongono a questo intervento per poter migliorare la propria qualità di vita.

Il percorso riabilitativo dura di solito due o tre mesi, è molto importante in questo senso il livello muscolare preoperatorio; infatti sembra che ad un migliore livello preoperatorio corrisponda una prognosi migliore.

Il paziente si presenta con due stampelle, dolore all’anca e una grande debolezza dei muscoli dell’anca, tra i quali i mm glutei, l’ileopsoas, il retto femorale, gli ischiocrurali e gli adduttori.

Nella prima fase è importante controllare il dolore, ridurre il gonfiore e mobilizzare l’anca, inizialmente evitando di superare i 90° di flessione, evitare l’adduzione e la rotazione interna. La seconda fase è caratterizzata da rinforzo muscolare, esercizi propriocettivi e riproduzione di gesti di vita quotidiana.

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Protesi ginocchio

Come per la protesi d’anca, anche l’intervento di protesi di ginocchio è molto diffuso e conosciuto, recentemente sempre più persone si sottopongono a questo intervento per poter migliorare la propria qualità di vita.

Il percorso riabilitativo dura di solito due o tre mesi, è molto importante in questo senso il livello muscolare preoperatorio; infatti sembra che ad un migliore livello preoperatorio corrisponda una prognosi migliore.

Il paziente si presenta con due stampelle, dolore e gonfiore al ginocchio e una grande debolezza dei muscoli quadricipite femorale, adduttori dell’anca, ischiocrurali, abduttori dell’anca e tricipite surale.

Nella prima fase è importante controllare il dolore, ridurre il gonfiore e mobilizzare precocemente il ginocchio. La seconda fase è caratterizzata da rinforzo muscolare, esercizi propriocettivi e riproduzione di gesti di vita quotidiana.

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Protesi monocompartimentale

La protesi monocompartimentale al ginocchio permette la sostituzione di uno dei tre compartimenti del ginocchio, ovvero:

  • Mediale, la parte tra femore e tibia all’interno dell’articolazione;
  • Laterale, la porzione tra femore e tibia nella parte esterna del ginocchio;
  • Femoro-rotuleo, tra rotula e femore.

 

Considerando che la gonartrosi è una malattia degenerativa, l’intervento chirurgico si ritarda il più possibile con terapie conservative, ma molto spesso l’operazione è richiesta proprio per le gravi difficoltà deambulatorie che la condizione comporta. A seguito dell’esame fisico del paziente, le radiografie, integrate con la risonanza magnetica, permettono di valutare non solo le ossa e la cartilagine, bensì tutte le componenti del ginocchio costituite da tessuto molle. È così possibile decidere quale tipo di protesi impiantare e fare delle ipotesi sui tempi di recupero per la guarigione completa. Quando il danno della gonartrosi interessa una sola parte del ginocchio, si può evitare la sostituzione totale dell’articolazione mantenendo intatte alcune strutture ed ottimizzando le percentuali di successo dell’intervento. È in questi casi, dunque, che si utilizzano le protesi monocompartimentali, che permettono un intervento meno invasivo e mirato alla cura esclusiva della parte danneggiata, salvaguardando i restanti spazi articolati.

Vi sono delle controindicazioni per quanto riguarda l’impianto di protesi monocompartimentale:

  • Grave obesità;
  • Assenza del legamento crociato anteriore (LCA) o del legamento crociato posteriore (LCP);
  • Grave lassità (rilassamento) dei legamenti collaterali mediale e laterale;
  • Grave gonartrosi;
  • Artrite reumatoide o condrocalcinosi.

 

Durata della protesi

Con le nuove scoperte degli ultimi anni, la protesi monocompartimentale oggi hanno una durata molto lunga: dai 15 ai 20 anni.

Tempi di recupero

Il paziente viene dimesso a seguito dell’intervento di protesi monocompartimentale nell’arco di 2-5 giorni e sarà in grado di caricare il peso sull’arto operato già dal giorno dopo. La pianificazione della riabilitazione post-operatoria deve essere fatta con cura, ma il paziente deve impegnarsi profondamente per seguirla a dovere, per permettere una guarigione eccellente. Di fondamentale importanza è la fisioterapia, che va seguita in modo minuzioso per poter riprendere un uso ottimale del movimento del ginocchio: senza questa, infatti, i tempi di recupero completo sono molto più lunghi e le probabilità di non riottenere un movimento ottimale del ginocchio sono molto più alte.

La ripresa completa delle proprie abitudini quotidiane avverrà nel giro di 6/8 settimane.

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Protesi spalla

L’intervento di protesi di spalla si effettua in caso di artrosi avanzata, fratture gravi o lesioni massive della cuffia dei rotatori con degenerazione della stessa, in questo caso protesi inversa.

Essendo la spalla un’ articolazione delicata, la riabilitazione deve seguire degli step precisi per consentire un recupero corretto.

Il paziente si presenta con un tutore al braccio per sostenere la spalla operata, dolente ed edematosa; sono assolutamente vietati i movimenti attivi della spalla e sollevare anche minimi carichi. L’ipotonia dei muscoli del cingolo scapolare è marcata.

Nella prima fase è importante controllare il dolore, ridurre il gonfiore e mobilizzare passivamente la spalla. Nella seconda fase si inizia ad inserire esercizi di attivazione muscolare sempre controllando dolore e gonfiore; nella terza fase si ha come obiettivo il ripristino della forza muscolare e il ritorno alle attività di vita quotidiana.

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Rizoartrosi

Rizoartosi è un’artrosi che colpisce una specifica articolazione della mano, tra l’osso trapezio e la base del primo metacarpo, consente l’opposizione del pollice. I sintomi sono quelli specifici dell’artrosi, in questo caso localizzati in un distretto corporeo più limitato, che determinano dolore, limitazione nei movimenti del pollice, infiammazione, gonfiore.

Scoliosi

La scoliosi è una deformità strutturale della colonna vertebrale sui tre piani dello spazio: sul piano frontale si manifesta con un movimento di flessione laterale, sul piano sagittale con un’alterazione delle curve, il più spesso provocandone un’inversione (modifica della cifosi o della lordosi), sul piano assiale con un movimento di rotazione.

È un disturbo che si presenta durante la crescita e peggiora fino alla maturazione ossea dove si ferma, tranne nei casi molto gravi in cui prosegue anche in età adulta.

Per evitare disturbi sistemici importanti come difficoltà respiratorie è importante trattarla fin da subito per trarre dalla fisioterapia i maggiori benefici possibili.

Sindrome di iperpressione rotulea femorale

Sindrome da iperpressione rotulea è causa di frequente dolore al ginocchio. A determinarne l’insorgenza sono condizioni anatomiche predisponenti associate a particolari sport o sovraccarico. La posizione della rotula nel solco femorale è controllata principalmente dai fasci laterale e mediale del muscolo quadricipite femorale. Se una parte del muscolo è più accorciato e teso da un lato provocherà lo spostamento della rotula più da un lato rispetto ad un altro. Ciò comporta una maggiore pressione (iperpressione) su quella zona dell’articolazione, determinando così un eccessivo carico funzionale e quindi dolore al ginocchio. Una delle condizioni che più spesso ne determina l’insorgenza è una posizione della rotula posta più in alto rispetto alla fisiologica posizione anatomica insieme all’insufficienza del muscolo vasto mediale e del quadricipite che portano la rotula a spostarsi esternamente rispetto al femore. Nelle fasi iniziali il dolore può insorgere salendo o scendendo le scale oppure mantenendo sempre il ginocchio in flessione. Nelle fasi conclamante della malattia vi sarà anche una rigidità dell’articolazione ed un versamento intrarticolare.

Sindrome di Osgood-Schalatter

Si tratta di un’osteoartrosi della tuberosità tibiale anteriore, che provoca infiammazione e dolore. Si verifica in una fascia d’età compresa tra i 10 e 15 anni, fase di accrescimento delle ossa lunghe. Colpisce prevalentemente i ragazzi di sesso maschile. La diagnosi è per lo più clinica sulla base dell’anamnesi e della dolorabilità sul tubercolo tibiale anteriore nel punto d’inserzione del legamento rotuleo. Si pensa che la causa della patologia sia su base traumatica, a causa dell’eccessiva trazione del tendine rotuleo su un’inserzione epifisaria in accrescimento e non ancora matura per la fascia d’età.

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Sindrome femoro-rotulea

Sindrome dolorosa femororotulea: quali le cause?

La sindrome dolorosa femororotulea (PFPS) è una delle condizioni muscoloscheletriche che più frequentemente colpiscono gli arti inferiori , soprattutto nel sesso femminile . Quando non è correlata a evidenti alterazioni anatomiche ( ipoplasia dei condili femorali , riduzione della profondità del solco intercondiloideo etc) l’origine di questo dolore è considerata multifattoriale . Un aumento dell’angolo Q tra tibia e femore , uno squilibro nella forza e nell’attivazione dei muscoli vasti mediali e laterali del quadricipite sono comunemente considerati fattori scatenati , portando la rotula a lateralizzare e dunque a stressare le strutture esterne del ginocchio . Di conseguenza la terapia maggiormente indicata per questo quadro clinico risulta essere il training del muscolo vasto mediale obliquo (VMO) unico muscolo con le propietà biomeccaniche di medializzare la rotula .

Ma è davvero così?

Nonostante la notevole mole di studi presenti in letteratura e l’innegabile funzione biomeccanica , esercizi basati sull’attivazione preferenziale del muscolo VMO o sulla modifica del timing di attivazione tra VMO e vasto laterale (VL) hanno prodotto risultati molto contrastanti . in particolare , oltre alla comprovata impossibilità di reclutare selettivamente questo muscolo , gli esercizi specifici prposti per il VMO hanno prodotto outcome clinici sovrapponibili a programmi basati sul training del muscolo quadricipite in toto. Sarebbero da evitare esercizi in catena cinetica aperta nei primi 30° di estensione o il training della muscolatura adduttoria di anca , talvolta proposti con il fine di aumentare il reclutamento del muscolo Vasto mediale obliquo VMO ( come detto prima questo non accade). È importante quindi conoscere quali siano le basi scientifiche dell’efficacia clinica di questi esercizi cosi da fornire al paziente il miglior programma riabilitativo possibile ed evitare proposte standardizzate che potrebbero peggiorare la situazione clinica.

Il ruolo centrale della muscolatura glutea

Articoli recenti di buona qualità metodologica hanno confermato come, in soggetti affetti di sindrome dolorosa femororotulea , siano maggiormente presenti disfunzioni riferiti all’articolazione dell’anca rispetto al ginocchio. A conferma di questo è stato dimostrato come il training della muscolatura glutea migliori il dolore e la funzionalità del ginocchio in questi soggetti rispetto a trattamenti basati sul training del quadricipite . Prendendo in considerazione questa patologia da un punto di vista funzionale più che pato-anatomico , è possibile rendersi conto di come il dolore tipico di questa sindrome sia prevalentemente correlato a gesti funzionali (affondi, squat, salire e scendere le scale etc) in carico. Biomeccanicamente a questi movimenti è spesso associata un’eccessiva adduzione e rotazione interna da parte del femore, non adeguatamente bilanciato dalla muscolatura glutea . In questo modo l’arto inferiore viene a trovarsi in una condizione di valgismo funzionale (angolo Q dinamico), con conseguente aumento della pressione sulle strutture femororotulee laterali.

Nel futuro sarebbe interessante verificare quanto alcuni disorder per i quali la letteratura ha iniziato a produrre materiale , come per esempio la limitazione della dorsiflessione di caviglia , il ridotto controllo del “CORE” e un training basato sulla propiocezione , possano influire su una patologia multifattoriale e molto complessa come questa.

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